I suoni dell'Orchestra Verdi seducono la Fenice
VENEZIA
La Fenice ospita Orchestra Verdi in attesa di ricambiare la visita a Milano. LaVerdi si fa apprezzare soprattutto per la sua compattezza di suono. Ha molte facce giovani tra le fila e nutrita è la presenza femminile. Si schiera in maniera inconsueta: le due sezioni dei violini sono su lati opposti, i violoncelli a sinistra e le viole a destra, i sei contrabbassi in fondo, oltre i fiati, faccia al pubblico. Forse i timpani sono troppo vicini al proscenio, considerati i 51 do che Brahms affida loro air inizio della Prima Sinfonia. Era annunciato John Axelrod, ma sul podio arriva Stanislav Kochanovsky. La prima parte del concerto ha per protagonista il funambolico violinista ucraino Vadim Gluzman. Affronta con lo Stradivari "ex-Leopold Auer" del 1690, prestato dalla Stradivari Society di Chicago, il Concerto op. 35 di Caikokovskij. Dopo le brevi battute di introduzione, il solista procede spedito, senza indulgere ad abbandoni languorosi о a sentimentalismi. Il primo movimento diviene stringato, teso e incalzante. L'Andante che segue (Canzonetta) è affrontato con molta semplicità, mentre Kochanovsky sottolinea gli interventi dei legni. Veemente è attacco del Finale (Allegro vivacissimo). Il tecnicismo di Gluzman prevale sulla giocosità della pagina, che rimanda a qualche indiavolata danza russa, salvo aprirsi più volte in calorosi squarci lirici. Gli applausi ottengono, fuori programma, la Sarabanda dalla seconda Partita di Bach. Dopo l'intervallo si ascolta la Prima Sinfonia di Brahms. Il direttore lascia libertà di fraseggio agli interventi dei soli, salvo talora scalfire il clima intimo in modo perento rio, con energiche interiezioni.
Kochanovsky coglie la gioviale scorrevolezza del Poco allegretto e grazioso, ma ancora una volta accentua le nervose impennate che lo punteggiano. Il canto finalmente si dispiega sotto la sua bacchetta, nelle numerose ripetizioni di un tema che fu riconosciuto come una rimembranza della Nona di Beethoven, per poi sfociare nell'empito solenne ed eroico della conclusione. Insomma un direttore dal gesto chiaro e preciso, che ci offre un Brahms severo erede della classicità, estraneo alle flessuosità romantiche. Consenso molto vivo.
Massimo Contiero